giovedì 30 maggio 2013

Capitolo 10

Misteri

Saimon


La bimba seduta su di me è simpatica ma devo alzarmi, devo andare in bagno.
Vedo il ragazzo di fronte sorridere probabilmente pensa che me la stia facendo sotto, ma si sbaglia devo andare a succhiare un po' di veleno personale.
La bottiglia di grappa nel mio borsello pesa, ma è un conforto saperla vicino.
Non posso bere nello scompartimento. Non voglio scandalizzare le due coppie e non voglio fare venire tentazioni al ragazzino.
La cosa migliore è andare in bagno. Qui oltre a svuotare la vescica posso attaccarmi alla mia amica.
Mi manca ed è normale sono un alcolizzato. In valigia ho portato la scorta così sono sicuro.
Arrivo davanti al gabinetto.
Per fortuna è vuoto.
Entro e mi appoggio alla parete.
Accidenti quanto sbatte il treno.
Apro la zip dei pantaloni e mi libero di quel peso.
Poi apro la bottiglia e tiro un gran sorso “Ahh che piacere!” mi dico felice.
Mi sento meglio.
Mi appoggio alla porta per aprirla ma sento una voce cristallina parlare.
Un qualcosa mi blocca.
Forse è solo curiosità.
Aguzzo i sensi e ascolto quella voce angelica.
Capisco che sta parlando al cellulare, qualche parola mi sfugge per colpa del treno ma rimango lì inebetito
“Ciao ... Siamo sul … Se non ci sono problemi … prendiamo il volo e dom...  per mezz...   siamo là. Si... avvisa... sono venticinque... bottino. Si anche...  quattro. No nessuno... capito.”
Saluta e mette giù.
Non esco, non so perchè ma qualcosa mi preoccupa.
Non sembra la conferma delle prenotazioni, sembra come se debba recapitare dei pacchi. “Bottino” “venticinque” “ quattro” a cosa si riferisce???
Quella donna bellissima è inquietante o forse sono io...forse ho bevuto troppo.
Aspetto comunque di sentire che si allontani e poi esco ancora preoccupato e torno nello scompartimento.
Non è cambiato proprio nulla a parte il ragazzo in piedi nel corridoio.
Gli passo vicino e mi blocco.
Puzza di fumo, e non di una normale sigaretta.
E' un po' troppo giovane per fumare certe cose penso, vorrei fargli la predica ma poi lo vedo arricciare il naso.
Anch'io probabilmente puzzo di grappa.
Mi fermo davanti a lui e ci guardiamo.
Uno sguardo lungo e d'intesa.
Nessuno dei due aprirà bocca... nessuno dei due tradirà l'altro...   Almeno per ora.

***
Scendiamo dal treno, saliamo sul pulmann che ci aspetta. L'accompagnatrice ci guarda e ci conta nuovamente per essere sicura che ci siamo tutti. Vedo una smorfia sul bel viso, poi un sorriso si allarga sul bel volto pallido truccato ad arte. Il viaggio sarà breve ci dice con la sua voce melodiosa e cristallina.
Il tempo passa veloce. Ed eccoci arrivati. Dobbiamo scendere. Recuperiamo le valigie e con un sorriso noto il signore solitario aiutare la bella vedova. Lei arrossisce è imbarazzata ma sono sicuro che le piacciano tutte quelle attenzioni.
Scendiamo incolonnati.
Sembriamo mucche che vanno al macello.
Ho per mano la bimba. Quando sono rientrato mi ha fatto festa ed è salita nuovamente sulle mie ginocchia.
Il ragazzo misterioso mi è vicino anche lui tiene la bimba per mano. I miei occhi si posano sulle loro mani e un sorriso si apre sul mio viso. Lui vede e imbarazzato la molla.
“Perchè mi hai lasciato la mano?” chiede quel piccolo angelo.
“Sono sudato” si scusa lui nervoso.
“Fa niente” risponde la piccola stringendogliela di nuovo forte.
Scuoto la testa divertito mentre vedo un sorriso spuntare sul volto del ragazzo.
Ecco l'aereo.
Finalmente.!!
E' sera e non vedo l'ora di sedermi in un posto comodo e schiacciare un pisolino.
Chissà cosa ci daranno per cena??
Salgo e mi siedo. Sono posti da due. Il ragazzo misterioso si siede a fianco a me sulle sue ginocchia la piccola.
Davanti si sistemano i due sposini innamorati mentre dietro ovviamente il signore e la signora che si mangiano con gli occhi ma che non hanno ancora avuto il coraggio di sfiorarsi.
Partiamo finalmente lasciamo l'America...   vedremo presto i cieli dell'Italia.

martedì 28 maggio 2013

Capitolo 9

Compagni di viaggio


Danny


Non riesco a capacitarmi di quello che sta succedendo.
Ho rubato i soldi a quella bella signora che altri non è che la nostra accompagnatrice.
Quando l'ho vista alla stazione ho pensato che fosse giunto il mio momento, ho pensato che avrebbe gridato e mi avrebbe fatto arrestare.
E invece nulla. Mi ha guardato con quegli occhi strani quasi magnetici e mi ha sorriso.
Forse non mi ha riconosciuto.
Certo mi sono cambiato, vestito, pulito. Sembro un altro.....ma lei mi ha visto in faccia.
Mi domando come sia possibile.
Mi sento a disagio.
Ho mentito dicendo di avere diciannove anni e adesso ho paura che mi scoprano.
Quando siamo saliti sul treno mi sono messo in un vagone con due coppie, speravo che si facessero i fatti loro e mi è andata bene. Ma il signore che si è seduto di fronte a me, mi preoccupa.
I suoi occhi sono strani, sembra una persona per bene, colta, simpatica ma ha un qualcosa di sfuggente. Forse anche lui ha un segreto da custodire.
E adesso ci manca la bambina.
E' bellissima. Il suo faccino angelico scioglierebbe qualsiasi ghiacciolo. Pensavo andasse in braccio alla signora vicino a me, e invece si è seduta sul tipo strano.
E' di fronte a me, mi osserva attenta.
Sono a disagio.
Vorrei passare inosservato ma lei mi fissa e mi chiede se ho un gatto.
Un sorriso spunta mio malgrado sulle labbra. No ho tre sorelle le rispondo e sento una fitta al cuore.
Sono tutte e tre più piccole di me, e lei mi ricorda Josi. E' magra uguale anche se probabilmente il motivo è diverso.
E' vestita bene, appartiene a una famiglia ricca. Josi invece è magra perchè non c'è cibo abbastanza in casa. Ma i soldi che gli ho lasciato basteranno per diverso tempo.
Chiudo gli occhi e penso alla mia famiglia e quando li riapro è sempre lì che mi fissa.
Forse ha capito che non sono tanto più grande di lei, forse non sono riuscito a mentirle come ho fatto con gli altri.
Le sorrido.
All'improvviso vedo il signore che l'ha in braccio agitarsi.
“Scusate ma devo andare in bagno. Qualcuno può prendere la bimba?” chiede.
Lo guardo, sembra abbia fretta.
Un sorriso si apre sul mio viso. Incontinente, penso sogghignando.
La vicina a me non aspetta altro e gentile fa segno alla piccola di sedersi sulle sue gambe.
“Vieni cara. Vuoi che ti racconti una favola?” le chiede gentile.
La bimba sorride “Grazie. Si.” le risponde quasi urlando.
Il tizio seduto vicino sorride alla bambina, ma sembra infastidito.
Scuoto la testa. Hai perso un occasione, amico.
La signora inizia a raccontare la favola di Biancaneve... oh cielo ma qualcosa di più recente non la conosce??
Intanto lo strano è uscito ed io mi allungo le gambe.
“Ehi ragazzino... siediti bene” mi rimprovera il colombo innamorato.
“Scusi” boffonchio e mi alzo.
Vado in corridoio e mi accendo una sigaretta. Ma cosa ci faccio io qui? Mi chiedo.
E intanto vedo la campagna scorrere veloce fuori dai finestrini.
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mercoledì 22 maggio 2013

Capitolo 8

In viaggio


Mark


Sono seduto sul treno e affianco a me c'è un angelo.
La guardo di sottecchi lei fa finta di leggere una rivista ma mi accorgo che mi sta fissando.
E' tanto tempo che non guardo una donna, ma lei ha qualcosa di particolare.
Ho notato che molti fissano la nostra accompagnatrice con la bocca aperta sembrano tanti pesci lessi, ma a me non piace quel genere di donna.
Mi piacciono quelle timide poco appariscenti, come la mia vicina.
Che pensieri stupidi. Sono anni che non esco con nessuna rinchiuso nel mio bozzolo.
Sarebbe assurdo intraprendere una relazione proprio adesso.
Ma è simpatica e la sua risata è contagiosa.
Faccio finta di niente e inizio a parlarle commentando la notizia sulla copertina della rivista.
“Sono proprio una bella coppia Robert Pattinson e Kristian Stuart” dico senza sapere nemmeno chi sono.
Lei annuisce e le vedo brillare gli occhi.
“Si, sono veramente belli tutti e due e pare che stiano insieme sul serio e non solo per recitare” commenta convinta.
Non ho la pallida idea a cosa si riferisca, ma l'importante è rompere il ghiaccio. Annuisco e taccio.
Non voglio rischiare di offenderla o dire qualcosa che la possa innervosire. E così bella quando sorride. Per fortuna mi viene incontro la signora seduta di fronte a noi ,Carol se non ricordo male “Secondo me sono tutti pettegolezzi messi in giro ad arte. Ho letto che devono fare ancora tre film insieme e così attirano maggiori incassi” dice sicura di se stessa.
Vedo una smorfia di disapprovazione sul viso del mio angelo seduto vicino, lei non è convinta. “Può darsi, ma sembra che si siano baciati sul serio e che si scambino i vestiti. E' così romantico se fosse vero” sospira.
Carol la guarda con occhi sognanti “Si, in effetti, sarebbe una cosa dolcissima, e sono così giovani e teneri. Ed è così bello essere innamorati” dice e si volta verso il suo compagno baciandolo sulle labbra velocemente.
Guardo il mio angelo e lo vedo intristirsi. Mi domando come mai, poi noto un segno sul suo anulare sinistro. Sembra come se un anello sia stato levato da poco.
“Lei è sposata?” le chiedo incuriosito da quel segno bianco così evidente.
S'irrigidisce. Sono uno stupido insensibile.
Mi affretto a scusarmi “Non volevo... mi spiace” mormoro affranto. Non voglio che il sorriso sparisca del tutto dalle sue labbra.
“Non fa nulla. E' che sono rimasta vedova da poco e... sono cose che succedono” mi dice stringendosi nelle spalle per sminuire il dolore profondo che intuisco. Annuisco l'ho ferita sono proprio uno sciocco.
“Mi spiace” mormoro di nuovo a disagio.
“Meglio così che essere abbandonati” se ne esce il tipo da solo seduto di fronte a noi. Se non ricordo male si chiama Saimon , ma è una persona strana, sembra sfuggente, e poi che uscita del cavolo penso irritato.
“Ha pienamente ragione. Noi ci amavamo proprio come voi” sorride nuovamente il mio angelo guardando la coppietta che si sta baciando teneramente.
“Mi scusi signora. Non volevamo dare fastidio” si affretta lui staccandosi dalla bocca della compagna e sedendosi dritto.
Mi viene da sorridere. Sembrano due ragazzini. Le loro mani però sono ancora intrecciate e lui sta giocando con le dita su quelle di lei.
Gli sorrido e guardo di nuovo Liza.
E' tornato di nuovo il sorriso sul suo viso angelico mentre continua a leggere. Mi perdo nei sui occhi bassi, nelle sua labbra morbide e mi domando se riuscirò a farci almeno amicizia. Lei alza gli occhi su di me e mi sorride arrossendo, poi abbassa gli occhi ma vedo che non mi perde di vista.
Voglio attaccare bottone ma lo scompartimento si apre di nuovo.
L'accompagnatrice mette dentro la testa sorridente come sempre nel suo vestito blu da urlo.
La guardo incuriosito e noto che il ragazzo seduto vicino al mio angelo volta la testa come per evitare il suo sguardo. Anche il signore di fronte a lui sembra a disagio. Mi domando il perchè.
“Fra venti minuti siamo arrivati. Spero che siate stati comodi” ci dice tutta cordiale.
Poi sorridendo ci rivolge una domanda strana “Ho qui una bimba che viaggia da sola per raggiungere la famiglia... posso lasciarla con voi un attimo?”
Non capisco... ma tutti facciamo segno di si con la testa.
Una bimba carinissima che avrà circa sei anni entra e ci guarda intimidita.
Le sorridiamo tutti. Penso che il mio angelo la prenderà in braccio ma il signore da solo è più veloce.
“Vieni piccina siediti qui. Non aver paura il mio nome è Saimon e vedrai che ci troveremo bene assieme” le dice. E nella sua voce c'è una dolcezza che non mi aspettavo, lei si siede sulle sue ginocchia e ci sorride.
“Il mio nome è Kate ” poi guarda il ragazzo da solo, quello silenzioso e imbronciato.
“Ciao questa è Dolly la mia amica e a casa ho Lillo il mio gatto che mi aspetta. Anche tu hai un gatto?” gli chiede.
Lui impallidisce, sembra imbarazzato poi a mezza voce sibila “No, ma ho tre sorelle”.

lunedì 20 maggio 2013

Capitolo 7

In treno



Saimon

Il mio Nome è Saimon ed ero un barbone.
In tutti i sensi ero perchè adesso con i soldi che ho trovato nella busta mi sono sistemato. Non potevo certo presentarmi così all'appuntamento in stazione per partire.
Mi sono fatto la barba, lavato tutto, tagliato le unghie e mi sono messo persino un profumo di Dior.
Anche i vestiti sono tutti nuovi così come la valigia e la macchina fotografica che ho al collo.
Certo nel borsello ho una scorta di bottigliette di grappa per le emergenze. Non si possono troncare le brutte abitudini di colpo, ma così dovrei riuscire a resistere almeno fino a che non arrivo a Volterra.
“Italia aspettami” grido in mezzo alla strada mentre salgo su un taxi che mi porterà alla stazione ferroviaria di New York.
Non ho capito perchè non prendiamo un aereo di linea da New York per l'Italia.
Anche se il nostro aereo prenotato pare sia guasto mi sembra un po' esagerato farci volare con un aereo privato.
Ma a quanto pare adesso dobbiamo prendere un treno fino al paese di New Gold e da lì salire su un pulmann che ci porterà a un aeroporto privato dove finalmente voleremo fino a Pisa in Italia . E poi di nuovo in Pulmann fino a Volterra.

Eccomi arrivato, sono un po' spaesato e non conosco nessuno. In un angolo vicino alla biglietteria, dove c'è l'appuntamento, vedo un gruppo di persone e un cartello “Volterra”. Devono essere loro. Felice mi avvicino e con terrore riconosco l'accompagnatrice.
E' la ragazza!!
La ragazza dal vestito rosso.
Non è possibile...
Adesso mi accuseranno di furto!
Il terrore mi invade... io ci ho provato a restituire i soldi.
Abbasso la testa e tiro su il bavero. Poi mi viene in mente, cinque giorni fa ero completamente diverso... non mi potrà certo riconoscere.
Spaventato mi avvicino. “Buongiorno sono... ” dico titubante.
Lei alza i suoi occhi viola magnifici e mi guarda sorridente.
“Benvenuto la stavamo aspettando Signor Fog” mi risponde cordiale.
Tiro un sospiro di sollievo... è andata.
Alzo gli occhi per guardarla.
Lei mi sorride e mi fa un occhietto complice poi si allontana.
“Ci siamo tutti. Adesso vi conduco al treno. Tutta la carrozza è prenotata e quindi potete sedervi dove volete” ci comunica sorridendo.
Mi guardo in giro saremo circa una ventina di persone e tutte hanno l'aria smarrita come me.
Qualcuno viaggia da solo, qualcuno è chiaramente una coppia.
Ma non ci sono gruppi uniti.
Bene forse così riuscirò a farmi qualche amico.
Vado a sedermi e mi sistemo in uno scompartimento dove c'è un unico posto libero. Sorrido e mi siedo.
Mi guardo attorno. Vicino a me c'è una coppia che sembra simpatica, si presentano e dicono di chiamarsi George e Carol
Devono essere molto innamorati si tengono sempre per mano.
Di fronte a loro c'è un altra coppia di signori. Lui è un bel uomo di mezz'età distinto ma deve essere molto timido. Il suo saluto è veloce quasi un sussurro.
Al suo fianco c'è una Signora molto curata. Si vede che è appena andata dal parrucchiere. Mi saluta con un cenno e un sorriso fugace.
Si presentano sono. Mark Smith ed Liza Cameron.
Ma contrariamente a quello che pensavo non si conoscono.
Sono venuti entrambi da soli.
Poi vedo lei...  fare un sorrisino timido al suo vicino. Lui sembra imbarazzato.
Di fronte a me invece c'è un ragazzo dice di chiamarsi Danny e di avere diciannove anni. Ma mi sembra strano. I suoi occhi sono sfuggenti. Non guarda in faccia nessuno. Sono troppo abituato a vivere nella falsità per non accorgermi che quel ragazzo ha qualcosa da nascondere. Ma non mi interessa non sono mica un poliziotto.
Ecco finalmente partiamo la mia grande avventura ha inizio.

venerdì 17 maggio 2013

RIEPILOGO





RIEPILOGO   DEI   PERSONAGGI



Mark     = Uomo solitario benestante, partito per fare un avventura

Liza       = Vedova di Phil, partita per levarsi di casa e dal suo dolore

Saimon  = Barbone e ubriacone

Danny   = Ragazzino, ladro fuggito dalla miseria

George  = Truffatore, sposato e innamorato di Carol

Carol    = Truffatrice complice e moglie innamoratissima di George

Kate     = Bambina rapita





 















martedì 14 maggio 2013

Capitolo 6

Kate

Il mio nome è Kate e ho sei anni... credo.
La mia mamma e il mio papà purtroppo lavorano e quando esco dall'asilo sto con la nonna.
Mi piacciono i miei genitori e so che loro mi amano tantissimo. Quando vengono a casa papà mi prende in braccio e mi fa volare, mentre mamma mi stringe forte e mi riempe di baci. La sera poi è lei a mettermi a dormire dopo avermi raccontato una favola su Winnie the Pooh. Anche papà mi dà il bacino della buona notte ed io sono la bambina più felice di questo mondo quando sono con loro.
Anche se mi piace molto stare con la nonna. Lei è la mamma di papà e mi adora. Mi cucina sempre le cose che mi piacciono e per merenda mi prepara delle buonissime torte. E poi con lei vive Lillo. Il suo meraviglioso gattino.
Io adoro Lillo perché quando arrivo mi viene a salutare e poi passiamo molto tempo a giocare assieme. Lui è dolce e gli voglio moltoooo bene.

Era un venerdì pomeriggio e stavo giocando in giardino con Lillo. La nonna era in casa, e stava parlando al telefono con la sua amica.
Stavo giusto vestendo la mia bambola preferita...la mia Dolly, quando mi sentii chiamare.
Alzai la testa e vidi una signora bellissima. Era vestita sportiva in Jeans e mi sorrideva con aria affettuosa.
Ma quello che mi colpirono furono i suoi occhi, sembravano viola.
“Ciao Kate... ti piacciono i gatti vero??” mi chiese indicando Lillo che se ne stava appallottolato di fianco a me.
Mi voltai per prenderlo in braccio e farlo vedere meglio alla signora ma Lillo iniziò a soffiare e dopo avermi graffiato scappò via come un razzo.
Rimasi lì imbambolata. Non si era mai comportato così. Perchè era scappato??
Stupita guardai la bella Signora.
“Che gatto birichino. Forse è andato a cercarsi una compagna” commentò lei sempre sorridendomi.
Non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi. Era così dolce e affascinante.
Decisi subito che doveva essere simpatica.
“Una compagna??” gli chiesi domandandomi per la prima volta se Lillo avesse una fidanzata come la mia migliore amica Gin che diceva di essere fidanzata con Ralph.
“Certamente” mi rispose affabile avvicinandosi alla porta del giardino “Non lo sai ai gatti piace avere compagnia” mi spiegò.
Ci pensai su un attimo... se a me piaceva giocare con gli altri bambini perché a Lillo non sarebbe dovuto piacere giocare con altri gatti??
“Lui però è solo” mugugnai improvvisamente triste per il povero Lillo.
“Io ho una gatta che ha fatto cinque gattini e tre sono femmine.” mi disse la Signora.
Per un attimo nella mia testa si dipinse un bel quadretto, Lillo con vicino una gattina piccola da proteggere ed amare. Non sarebbe più stato solo.
“Ma è bellissimo... forse possiamo farli conoscere... magari si fidanza” risposi improvvisamente entusiasta.
“Perché no, anzi potrei regalarti una femminuccia” mi propose la Signora.
Era un idea fantastica avrei avuto un altro gattino con cui giocare. Chissà di che colore erano?
Lei parve avermi letto nel pensiero perché subito mi chiese quello che speravo mi dicesse.
“Li vuoi vedere?? Così scegli quello che ti piace di più” mi disse.
Aprii la bocca felice per urlare di Si..ma mi venne in mente la nonna non potevo andare via senza avvisarla.
“Devo chiedere alla nonna se posso venire” risposi sperando che la signora non si offendesse e andasse via.
“Certo, ma non ho molto tempo. Comunque sono sicura che tua nonna non avrà niente da obiettare.... sai siamo amiche” mi confidò senza levarmi di dosso i suoi occhi magnetici.
Le sorrisi. Se era amica della nonna allora non c'era niente di male e poi ci avremmo messo poco..
“Ci metteremo poco. Non si accorgerà neanche che ti sei allontanata un attimo e poi sai che bella sorpresa quando ti vedrà con la compagna per Lillo” mi disse tutta allegra.
Non resistetti, non volevo perdere quell'occasione e poi chissà perchè ma mi piaceva quella donna. Mi attirava.... il suo aspetto e il suo modo di fare erano quasi magnetici.
“Si vengo” trillai afferrando la mia Dolly e il maglioncino.
“Brava vedrai andremo a prenderlo in un posto bellissimo” mi disse prendendomi per mano.
Per un attimo sobbalzai, la sua mano era forte e gelida, forse aveva freddo.
“Come ti chiami ?” le chiesi ansiosa di fare amicizia con lei.
“Il mio nome è Haidy “ mi rispose sorridente passandosi la lingua su dei denti bianchissimi e affilatissimi.
Per un attimo tremai di paura ma poi il suo sorriso dileguò tutte le mie ansie e felice la segui.
Avevo sei anni... credo.

lunedì 13 maggio 2013

Capitolo 5

George e Carol Mc Gregor


George


Buongiorno il mio nome è George Mc Gregor e sono innamorato follemente di mia moglie nonché complice Carol.

Ho trentacinque anni e sono biondo e alto, ricordo dei miei antenati scozzesi.
Ma vivo a New York da sempre dove ho conosciuto il mio amore.
Carol invece è di origine francese e pur essendo bruna è di una bellezza sconvolgente.
Il suo modo di muoversi mi ricorda una pantera, sinuosa ma forte e determinata. Il suo carattere dolce e sensuale mi ha affascinato già dal primo giorno che ci siamo visti.
Non ci abbiamo messo molto a capire di amarci follemente e ci siamo subito sposati.
Apparentemente siamo una coppia perfetta.
Abitiamo in una bella villetta tutta per noi, e ufficialmente siamo dei magnati della finanza.
Ma in realtà siamo una coppia di truffatori.
Ci siamo conosciuti “sul lavoro” cercando di truffare ognuno per conto proprio la stessa vittima e da allora non ci siamo più lasciati.
Ci potremmo definire dei ladri gentiluomini, degli Arsenio Lupin moderni.
E la cosa ci riempie di orgoglio. Non abbiamo mai fatto male a nessuno, semplicemente ci spacciamo per Agenti delle Tasse e raggiriamo gli ingenui infilandoci nelle case e rubando soldi e gioielli.
Normalmente le nostre vittime sono persone anziane che quando vanno via ci salutano e ci danno la loro benedizione inconsapevoli del gesto criminoso da noi effettuato.

Era Venerdì pomeriggio e insieme a Carol bussammo alla porta della tenera vecchietta che ci venne ad aprire inconsapevole delle nostre intenzioni.
Ci eravamo studiati l'obiettivo per tutta la settimana e sapevamo che l'anziana signora abitava da sola, solo il Martedì pomeriggio un assistente del Comune passava per vedere se era tutto a posto.
Lei viveva da sola e se anche fosse sparita nessuno sarebbe andata a cercarla.
Quel mattino era andata dal bancomat a prendere i soldi che le sarebbero bastati per tutto il mese e noi avevamo aspettato proprio questo momento per colpire.
Ci presentammo alla sua porta, ben vestiti e con i nostri sorrisi smaglianti.
Lei quando sentii che eravamo degli Agenti delle Tasse ci fece entrare ed accomodare in salotto.
Mentre io le raccontavo tutta una bella storiella per intrattenerla, Carol s'intrufolò, con la scusa di andare in bagno, nella camera della signora e svelta e professionale iniziò a cercare i soldi.

Carol

Frugavo nei cassetti del comò, poi in quelli del comodino. Ma nulla.
Dove diavolo poteva aver messo i soldi??
Mi guardai in giro confusa. Le persone anziane sono molto metodiche ed ordinate. E l'ordine perfetto della camera non faceva che rafforzare la mia supposizione.
Ma allora??
Poi mi venne quasi da ridere mentre andavo ad aprire la sua borsa.
Erano ancora lì, tutti assieme.
Ma non mi bastava, sicuramente aveva dei gioielli. Non ci misi molto a individuare la scatola di legno lavorato posata sul comò.
L'aprii e per un attimo rimasi interdetta.
C'era una busta bianca che sembrava spessa. Forse conteneva dei soldi. La presi e la misi nella mia borsa assieme ai gioielli che erano riposti nella scatola.
Poi uscii mi infilai in bagno, tirai la catena e mi avviai verso il salotto.
Avremmo salutato la tenera vecchietta e ci saremmo allontanati insieme pronti a goderci un meritato riposo quando.....il campanello suonò.
Ero già arrivata in sala e a quel suono mi irrigidì. Chi poteva mai essere?
Lanciai uno sguardo preoccupato a George. Anche lui si era irrigidito, anche lui temeva un possibile testimone.
Cosa potevamo mai fare?
La tenera vecchietta si alzò traballante e incurante dei nostri sguardi preoccupati si affrettò ad aprire la porta.
“Oh Dottore. Sono felice sia riuscito a venire. Venga si accomodi è da ieri sera che ho un dolore alla schiena insopportabile”
L'uomo alto e allampanato entrò in casa con un sorriso accondiscendente e si bloccò a guardarci. Probabilmente si stava chiedendo chi fossimo.
“Ha visto sono venuti gli agenti delle tasse per un rimborso” spiegò la signora al medico che ci fissava incuriosito.
George sorrise e porse la mano al medico “Piacere di averla conosciuta.” poi affabile come sempre si rivolse alla vecchietta “e piacere anche a lei. Noi adesso dobbiamo andare. Riceverà una lettera scritta di conferma” spiegò professionale mentre seguito da me si allontanava velocissimo.
Sentimmo la tenera vecchietta dire “Ma... non capisco” e poi la porta chiudersi.
Veloci salimmo in macchina e ci allontanammo con l'adrenalina che scorreva nel nostro corpo.

George

Questo era un guaio. Un grossissimo guaio.
Il medico non ci avrebbe messo molto a capire cosa era successo e sicuramente aveva avuto tutto il tempo di guardarci.
Avrebbe chiamato la polizia e diffuso il nostro identikit.
Maledizione! Gridai nella mia mente mentre picchiavo il volante dell'auto.
“Calmati George” la voce di Carol era dolce e tranquilla.
La guardai e vidi il mio angelo personale sorridermi.
Come faceva a stare così calma??
“Sono preoccupato. Dovremo sparire per un po'. Forse sarebbe meglio trasferirci, magari in un altro stato.” le spiegai agitato.
La vidi annuire e aprire la borsa “Perché non in Italia?”
La guardai un attimo poi riportai i miei occhi sulla strada.
“Ma cosa stai dicendo?” chiesi stupito, in quei pochi minuti mentre frugava nella sua borsa per esaminare il bottino, doveva aver elaborato un piano.
Lei mi sorrise e con lo sguardo furbetto che adoravo mi mostrò un volantino. “Benvenuti a Volterra” c'era scritto e un sorriso s'increspò sulle mie labbra.
Lei sempre sorridente, vide la luce di approvazione riflessa nei miei occhi e tirò fuori il cellulare.
Una voce cristallina e calda rispose al primo squillo “In cosa posso esserle utile?? Il mio nome è Haidy”.
Era fatta, avremmo trovato rifugio in Italia giusto per lasciare calmare le acque e poi saremmo ritornati cambiando città.
Fermai la macchina e mi chinai su Carol baciandola appassionatamente.

giovedì 9 maggio 2013

Capitolo 4

Daniel Ignizo Martinez Elabrador

Il mio nome è Daniel Ignizo Martinez Elabrador ma tutti mi chiamano Danny.
Sono un ragazzo e ho appena quattordici anni ma ne dimostro almeno venti.
La vita che faccio farebbe invecchiare chiunque ma non mi lamento potrebbe andare peggio.
Potrei essere come mio padre che per mantenere mia madre e i miei sei fratelli lavora quasi quindici ore al giorno nei campi con un misero salario. Ma io sono più furbo.
Certo i miei due fratelli più grandi e mia madre pensano che lavori per portare i pochi soldi che riesco la sera a casa. Credono che vada a tagliare l'erba nelle vicine case dei ricchi, ma non sanno che è tutta una finzione. Io odio quelle persone, tutte così ben vestite, con i macchinoni e la casa pulita e ordinata. Loro hanno tutto ma soprattutto hanno il cibo e le medicine.
Noi siamo poveri, sono nato e cresciuto in una baracca senza riscaldamento e con poco cibo esattamente come i miei fratelli più piccoli.
Odio quella baracca che dovrei chiamare casa, odio i miei genitori che invece di avere tre soli figli come tutti si sono comportati come conigli irresponsabili. Odio i miei fratelli con cui sono sempre stato costretto a dividere il poco cibo e le coccole di mamma.
E odio chi mi guarda e mi compatisce.
Forse è per questo che non vado a scuola. I miei genitori mi ci portano tutte le mattine ma io fuggo. Non sopporto lo sguardo di commiserazione dei miei compagni ricchi e i loro scherzi. Sono stufo dei commenti e degli insulti.
Voglio scappare da quest'inferno. Ma non posso, per fuggire ci vogliono i soldi e io non li ho.
Invece che lavorare per pochi spiccioli come mi hanno chiesto i miei genitori preferisco rubare. E' sicuramente più pericoloso ma anche più remunerativo. Così riesco a comprare le medicine per mio fratello Jago che ha sempre la tosse e il cibo per Josy e Penny che sono talmente magre che gli si vede attraverso. Ovviamente qualcosa tengo per me. Ho un mio nascondiglio segreto in giardino e lì metto tutto ciò che riesco a risparmiare. Prima o poi riuscirò a fuggire da questa baracca al confine con il Messico, prima o poi riuscirò a volare lontano da questa vita schifosa.

E' Sabato pomeriggio e sta piovendo.
Che schifo di tempo!
Sono preoccupato se continua così non riuscirò a rapinare nessuno. E' raro che i ricchi vadano in giro sotto la pioggia e il terreno è scivoloso ed io non posso permettermi di sbagliare non voglio finire in carcere sotto le grinfie di qualche pedofilo.
Scruto attraverso la pioggia e prego la buona sorte che qualcuno esca.
Ecco forse finalmente la fortuna è girata. Una donna avvolta in un impermeabile nero è scesa da una macchina lussuosa.
Si è guardata intorno come se cercasse qualcuno poi si è allontanata di buon passo, veloce e determinata.
E' bella, il suo modo di camminare è sensuale. Forse un giorno avrò anch'io una donna così. Ma chi voglio prendere in giro... questi sono solo sogni come quello di scappare lontano.
Nascondo il mio turbamento, ricaccio indietro i miei pensieri. Devo stare attento, lucido non posso permettermi di sbagliare.
Mi avvicino... tiro fuori il coltello e afferrò la donna per un braccio sbattendola contro un muro.
Strano non ho mai sentito tanti muscoli in un braccio. E' quasi dura al contatto. Un brivido di freddo m'investe. Fisso i suoi occhi.
Dovrebbero essere spaventati, terrorizzati dallo spettacolo che ha di fronte, ma invece sono tranquilli, sicuri. Il loro colore viola mi affascina e mi stordisce.
Maledizione forse è un agente, forse è un tranello per incastrarmi.
Ma vado avanti.
Sento il mio cuore battere e il respiro farsi corto dall'adrenalina che ha iniziato a scorrere nel mio sangue. Vedo un sorriso aprirsi su quel viso angelico, ma non è un sorriso caldo affettuoso è un sorriso diabolico, un ghigno di soddisfazione.
La mia vittima tace. Non parla, non urla come farebbero tante. Non prega pietà.
Mi guarda e mi allunga la sua borsa.
Ha capito! Ha capito che sono un ladro, ha capito che ho paura e che potrei ucciderla per questo.
Le afferro la borsa, mi volto e scappo. Corro, aspettando le sue grida di aiuto. Non le sento. Non sento urla, mi volto ...lei è sparita.
Corro ancora lontano stringendo quella borsa nera, frutto del mio gesto.
Quando mi fermo sembra che il mio cuore stia scoppiando.
Mi siedo.
Apro la borsa. Non c'è nulla dentro solo una busta bianca e un portafoglio.
Apro la busta e un volantino mi scivola sulle mani “Benvenuti a Volterra”.
Lo guardo e per un attimo sogno. Sogno di raggiungere quel posto lontano. Di riniziare, di farmi una nuova vita.
Apro il portafoglio e mi cadono fra le mani molti dollari.
Li fisso a bocca aperta. Non ho mai visto tanti soldi così tutti insieme. E' quanto può guadagnare mio padre in cinque anni di vita.
Resto lì inebetito e poi decido.
Sfilo via alcuni biglietti e metto gli altri nella busta.
Poi mi avvio a casa. Josy è davanti alla porta che sta stendendo. Ha solo otto anni ma anche lei ne dimostra dieci di più. Le consegno la busta e con una lacrima le sussurro “Questa è per mamma e papà. Mi mancherete tutti. Vi voglio bene.”.
Lei mi guarda... non ha capito che è un addio.
Mi volto e mi allontano, recupero la mia scorta segreta di soldi e vado in un bar. Lì faccio la telefonata che cambierà per sempre la mia vita.
La voce che mi risponde è cristallina e squillante “Buongiorno in cosa posso esserle utile ? Il mio nome è Haidy”

mercoledì 8 maggio 2013

Capitolo 3

Saimon Fog


Il mio nome è Saimon Fog e sono un barbone.
Si avete capito bene!!
Sono un barbone, ma non nel senso che ho la barba lunga, anche se in effetti c'è l'ho, ma nel senso che sono un senza tetto, un girovago senza casa o futuro.
Ho trentadue anni ma ne dimostro almeno quaranta. La barba e i capelli lunghi, i vestiti stracciati e la puzza sono i miei compagni di viaggio.
Come mi sono ridotto così? Il gioco e l'alcool. Loro sono stati i miei demoni.
E pensare che sono il figlio di un grande manager.
O perlomeno, sarebbe più giusto dire ero il figlio di un grande manager.
Lui mi ha ripudiato, respinto, cancellato il mio nome dal suo cuore.
Dovrei odiarlo per questo... ma non posso dargli torto.
Avevo tutto, compreso una bella moglie, ma ho perso tutto.
Come ci si fa a ridurre così? A volte me lo chiedo anch'io.
E' iniziato tutto, tanti anni fa quando preso dalla smania del gioco iniziai a frequentare le sale di Las Vegas.
Le luci, le donne e soprattutto l'alcol che scorreva a fiumi mi inebriarono e avido non riuscii più a rinunciarci.
Prima persi tutti i soldi al gioco e poi mi vendetti tutto quello che possedevo sotto gli occhi disperati di mia moglie.
A corto di denaro, stretto nella morsa ferrea degli strozzini, mi rivolsi a mio padre in lacrime.
Lui mi ricevette nel suo grande studio ed ebbe pietà di me.
Mi offrì un nuovo lavoro, pagò i miei debiti, mi regalò soldi e una bella casa.
Avrei dovuto benedire il Signore e baciare i piedi a mio padre dove passava, ringraziando di avere una nuova possibilità...... ma non lo feci.
Tornai a Las Vegas e mi diedi alla pazza gioia. Le prostitute facevano la coda per soddisfarmi, mentre ubriaco mi giocavo nuovamente tutto.
“Il lupo perde il pelo ma non il vizio” mi disse mia madre affranta quando mi venne a trovare all'ospedale.
Mi avevano picchiato. Non avevo pagato i debiti di gioco e loro si erano vendicati.
Ancora una volta mio padre saldò i miei debiti e poi mi chiamò nel suo studio.
“Ti voglio bene Saimon ma tu non ne vuoi nemmeno a te stesso. Non ti importa nulla di noi o di tua moglie. Per cui questa è l'ultima volta che intendo aiutarti. Non bussare più a questa porta e dimenticati di noi”
Rimasi colpito dalle sue parole, e le schedine delle corse ai cavalli che avevo in tasca iniziarono a bruciare.
Ma aveva ragione. Sono una mela marcia ed è giusto che come tale stia nella spazzatura.
Persi nuovamente il lavoro in banca a causa del furto che avevo fatto per saldare alcuni debiti e mia moglie esasperata mi abbandonò al mio destino.
Non posso ne piangerla, ne biasimarla ha avuto fin troppa pazienza con me.
Ma io sono quel che sono e finisco sempre per ferire chi mi sta vicino.
Senza lavoro dovetti anche lasciare la casa e senza più nulla iniziai a vagare sopravvivendo di piccoli furti e della carità delle persone.
Forse se potessi tornerei indietro e cambierei la mia vita, ma non si può rimediare ai propri errori ed ora sono solo un misero straccione evitato da tutti.
Neanche la polizia sa della mia esistenza, come i topi sto nascosto di giorno cercando di evitare la gente. Odio i loro sguardi di superiorità o di commiserazione.
La notte invece è mia. Esco e giro. Frequento alcuni che sono degli sventurati come me, ma di loro non so nemmeno il nome come loro non sanno il mio.
Sono una piaga della società, un essere disperato e dimenticato da tutti ....persino da Dio.

Era Venerdì pomeriggio e faceva caldo.
A San Francisco fa sempre abbastanza caldo, ma quel pomeriggio l'umidità era soffocante.
Stavo smaltendo la sbornia quando i miei occhi si aprirono increduli.
Dormivo in quel vicolo da due settimane ormai e quasi nessuno passava di lì. Spesso solo i gatti mi facevano compagnia.
Eppure stava venendo verso di me una creatura magnifica.
Aveva i capelli lunghi e tirati su in una bellissima acconciatura. Il collo lungo e affusolato era coperto da una sciarpa di seta rossa. Anche il vestito era rosso. Un tailleur di lino rosso sangue che metteva in risalto una corporatura da urlo. La minigonna esaltava le lunghe gambe bianche che terminavano in un paio di scarpe con i tacchi a spillo rosse anch'esse.
Era l'eleganza fatta a persona.
Rimasi lì fermo a guardarla aspettandomi che alla mia vista fuggisse lontano.
Ma lei non lo fece, mi puntò dritto e mi sorrise. Il sorriso più bello che avessi mai visto.
La guardai imbambolato incapace di muovermi mentre lei mi passava affianco con noncuranza, come se fosse la cosa più naturale del mondo che io fossi lì.
Passò e iniziò ad allontanarsi sempre con i miei occhi incatenati a lei.
Ero lì come un fesso quando una busta le scivolò dalla cartellina che aveva in mano.
Senza pensarci le corsi dietro presi la busta in mano e la chiamai.
“Signorina! Ha perso questa” gridai sventolando la busta.
Lei si voltò appena mi sorrise e sparì dietro l'angolo.
Rimasi un attimo inebetito con la busta in mano. Mi stavo chiedendo se mi aveva visto, se mi aveva sentito. Poi le corsi dietro. Volevo restituirgliela. Non perché fossi un brav'uomo ma perché volevo che mi sorridesse ancora.
Mi affacciai ma nulla, era sparita.
Sospirai e mi portai la busta al naso, sembrava profumata. Il suo profumo.
L'aprii sperando di trovare un indirizzo e quello che mi cadde fra le mani mi lasciò inebetito.
Soldi, parecchi soldi scivolarono fuori dalla busta assieme ad un cartoncino ripiegato.
“Benvenuti a Volterra” recitava.
Lo aprii e curioso iniziai a leggere. Era la pubblicità di un viaggio. Per un attimo sognai ad occhi aperti di poter partire, di poter dimenticare chi ero. Poi mi resi conto che i soldi contenuti nella busta erano più che sufficienti a pagare il viaggio e a comprarmi tutto il necessario.
Scossi la testa. Potevo usarli per vivere, mi sarebbero bastati per vivere bene almeno cinque mesi, ma la tentazione di cambiare aria o più semplicemente di rivedere quell'angelo mi spinsero ad entrare nella cabina telefonica. Tirai fuori dalle tasche poche monetine che avevo ricevuto in elemosina quella mattina e telefonai.
“Buongiorno, in cosa posso esserle utile?? Il mio nome è Haidy” mi rispose una voce calda e cristallina.
Non mi feci pregare due volte e prenotai il viaggio dei miei sogni.

lunedì 6 maggio 2013

Capitolo 2

Liza Cameron

Il mio nome è Liza Cameron e vivo a Boston.
Il mio aspetto normalmente era molto curato. Sono una casalinga perfetta e se foste entrati nella mia casa dieci giorni fa non avreste trovato un filo di polvere o una cosa in disordine.
Non avendo dei figli che fanno disordine e un marito attento e premuroso era facile per me tenere la casa in maniera perfetta.
In effetti non avevo altro da fare. Come mi sarei potuta passare il tempo altrimenti???
Sicuramente avrete notato che sto parlando al passato e vi starete chiedendo come mai.
La risposta purtroppo è molto semplice.
Dieci giorni fa mio marito Phil è morto per un incidente d'auto.


Eravamo una coppia felice e affiatata, non avevamo figli è vero ma non per scelta. Io sono sterile e malgrado i primi tempi ci abbia patito con l'età me ne sono fatta una ragione. Adesso a quarantadue anni consideravo la mia vita completa e stavo già pensando a come festeggiare il nostro diciottesimo anniversario di nozze.
L'avrete capito io vivevo per mio marito per il mio Phil.
Non ci interessava il mondo intorno a noi, non avevamo grandi amicizie e nemmeno parenti troppo vicini in vita. Mia sorella, l'unica persona che si possa chiamare parente, si è sposata e trasferita in Germania dietro a suo marito e ci sentiamo due volte l'anno per telefono. Se la vedessi non la riconoscerei nemmeno.

Ero felice, si ….ma adesso non più.

La mia casa è piena di polvere e disordinata. Non vado più dal parrucchiere e mi metto le prime cose che mi capitano nell'armadio. Quando mi alzo e mi guardo allo specchio vedo una donna anziana con le rughe e le occhiaie profonde. Anche la notte è difficile dormire per me. Non c'è nessuno che scalda il mio letto ormai, e gli incubi sono i miei unici compagni.
Forse qualcuno pensa che io sia pazza, ma la risposta è no.... sono solo disperata.
Quando entro in casa i muri si stringono intorno a me quasi schiacciandomi, tutto mi ricorda lui, tutto è diventato insopportabile.

Era un giovedì pomeriggio quando, dopo aver fatto la spesa, se tale si può chiamare due uova e un po' di pancetta, rientrai a casa.
La cassetta delle lettere era quasi vuota, un solo foglietto la occupava.
Sbuffai irritata, avevo già ritirato la posta quella mattina. Sicuramente sarebbe stata un altra stupida pubblicità.
Presi il foglio e feci per appallottolarlo, ma lui fece resistenza.
Abbassai lo sguardo e vidi che era rigido. Era un deplian a due facce e sopra c'era scritto in grandi lettere “Benvenuti a Volterra”.
Lo fissai e senza rendermene conto lo misi in tasca.
Entrai mi cambiai e cucinai guardando la televisione.
Poi un pensiero improvviso mi colpì e andai a cercare quella pubblicità.
La lessi attentamente e capii che era giunto il momento di cambiare.
Dovevo cambiare aria, almeno per un po', dovevo trovare qualcosa a cui pensare. I prezzi erano abbordabili e presa da uno strano impulso afferrai il telefono e composi il numero per prenotare la mia via di fuga dalla realtà.
“Pronto buongiorno, in cosa posso esserle utile. Il mio nome è Haidy” mi rispose una voce trillante e calda.
“Sono la signora Liza Cameron e vorrei prenotare il viaggio a Volterra” risposi soddisfatta della mia decisione.

Capitolo 1 Mark Smith

  Capitolo 1     Mark  Smith

I
l mio nome è Mark Smith e sono uno dei tanti dirigenti di una grossissima  multinazionale.
L'Azienda ha sede a  Seattle e malgrado sia molto stimato dalla direzione  e soddisfatto del mio lavoro sono solo un numero di matricola.
Ho lavorato duramente per diventare quello che sono, ho studiato e mi sono battuto per ottenere quella posizione sociale che molti mi invidiano.
Ma malgrado questo  sono infelice.
Chiunque potrebbe chiedersi il perché, in apparenza ho tutto quello che un uomo di mezz'età potrebbe volere.
Un  corpo ancora perfetto e in piena salute, un lavoro soddisfacente e molto remunerativo, una casa grande e comoda e  la macchina ultimo modello.  Ma vedete  c'è un solo grosso difetto nella mia vita: sono solo.

E perché vi potreste chiedere. Chi lo sa?  Il destino ha voluto che l'eterna fidanzata mi lasciasse cinque giorni prima del matrimonio e da allora nessuna donna ha più significato niente per me. Sono rimasto orfano presto, senza alcun parente che potesse occuparsi di me.
Anche i pochi amici che s'illudono di essere tali sono solo poco più che conoscenti.  Il tempo libero me lo passo da solo seduto su uno scoglio a pescare. Le mie canne e i miei ami sono i miei figli e i miei amici.
Sono un solitario e lo sono sempre stato.
Vivo circondato da moltissima gente ma in definitiva sono solo e nessuno di certo si chiederebbe che fine abbia fatto se sparissi all'improvviso.
Nessuno saprebbe dove cercarmi, nessuno saprebbe nulla di me. E' un ipotesi affascinante, ci ho pensato a volte ma dove andrei??

Stavo rientrando a casa. Era un giovedì pomeriggio come tutti gli altri e finalmente ero uscito da quell'ufficio che diventava soffocante ogni giorno di più.  Posteggiai la mia Bentley ultimo modello e mi diressi verso il portone di casa.
La cassetta delle lettere era piena e con un sospiro l'aprii.
Tirai fuori diversi fogli e buste e sbuffando per tutta quella cartaccia entrai in casa.
Andai al frigorifero, mi presi un birra fredda e mi sedetti sul divano con vicino il cestino della spazzatura.
La prima busta conteneva la bolletta del gas, la seconda quella della luce. A quel punto mi venne voglia di buttare via tutto assieme, ma resistetti alla tentazione.   Annoiato controllai gli altri fogli ma erano tutte pubblicità insulse, l'idraulico del pronto intervento, un agenzia che vendeva case, il vicino supermarket con le sue offerte.
Sbuffai di nuovo e buttai i volantini nel cestino. Volarono tutti  dentro tranne uno che  scivolò per terra. Non lo avevo notato prima e incuriosito lo raccolsi.
Era un cartoncino rigido piegato a metà. Sulla prima pagina c'era la fotografia di una chiesa e una piazzetta con fontana annessa, illuminate dal sole ridente. Scritto a grandi lettere c'era la seguente scritta “Benvenuti a Volterra”.
Incuriosito aprii l'opuscolo e trovai all'interno la pubblicità di un viaggio organizzato nel quale spiegavano che Volterra era un ridente paesino italiano.  Rimasi colpito dalla  descrizione del luogo e da quello che offrivano, ma ancora di più dai prezzi. 
C'era infatti un last minut assai invitante. Il Sabato successivo si sarebbe partiti da New York e con pochissimi dollari avrei potuto visitare quel dolce paesino d'Italia.
Per un attimo buttai la pubblicità nel cestino, poi mi fermai a guardarla.
C'era un qualcosa che mi attirava e un assurda idea si fece strada nella mia mente.
Senza ragionare più di tanto alzai il telefono e chiamai l'ufficio personale della mia ditta.
“Buongiorno vorrei parlare con l'ufficio personale” chiesi al centralino.
“Aspetti che glielo passo” mi rispose una voce gentile
“Qui ufficio del personale, chi parla?” mi chiese dopo un attimo di silenzio una voce sgarbata.
“Sono Mark Smith e...” non feci in tempo a finire la frase che la stessa voce m'interruppe.
“Non mi interessa il suo nome. Mi dica il codice matricola e cosa vuole” continuò  imperterrito e arrogante. Non mi stupii c'ero abituato. Io per loro ero solo un numero ed una scocciatura da gestire.
“Sono il numero due tre nove zero e volevo comunicarvi che intendo prendere ferie da sabato prossimo per una settimana” dissi tutto d'un fiato incrociando le dita.
“Ok abbiamo registrato la sua richiesta. Attenda in linea che le confermo se può procedere” mi rispose l'addetto all'uffico personale   sempre sgarbato.
Attesi e dopo pochi minuti sentii la risposta “Le ferie le sono state concesse” e senza un saluto riattaccò.
Non ci speravo adesso dovevo solo sperare che ci fossero ancora posti liberi per quell'invitante viaggio.
Presi il biglietto e feci il numero  indicato per prenotare.
“Pronto, buongiorno, in cosa posso esserle utile?? Il mio nome è Haidy” mi rispose una voce femminile trillante e calda.  Sembrava un raggio di sole spuntato da una coltre di nuvole.