giovedì 9 maggio 2013

Capitolo 4

Daniel Ignizo Martinez Elabrador

Il mio nome è Daniel Ignizo Martinez Elabrador ma tutti mi chiamano Danny.
Sono un ragazzo e ho appena quattordici anni ma ne dimostro almeno venti.
La vita che faccio farebbe invecchiare chiunque ma non mi lamento potrebbe andare peggio.
Potrei essere come mio padre che per mantenere mia madre e i miei sei fratelli lavora quasi quindici ore al giorno nei campi con un misero salario. Ma io sono più furbo.
Certo i miei due fratelli più grandi e mia madre pensano che lavori per portare i pochi soldi che riesco la sera a casa. Credono che vada a tagliare l'erba nelle vicine case dei ricchi, ma non sanno che è tutta una finzione. Io odio quelle persone, tutte così ben vestite, con i macchinoni e la casa pulita e ordinata. Loro hanno tutto ma soprattutto hanno il cibo e le medicine.
Noi siamo poveri, sono nato e cresciuto in una baracca senza riscaldamento e con poco cibo esattamente come i miei fratelli più piccoli.
Odio quella baracca che dovrei chiamare casa, odio i miei genitori che invece di avere tre soli figli come tutti si sono comportati come conigli irresponsabili. Odio i miei fratelli con cui sono sempre stato costretto a dividere il poco cibo e le coccole di mamma.
E odio chi mi guarda e mi compatisce.
Forse è per questo che non vado a scuola. I miei genitori mi ci portano tutte le mattine ma io fuggo. Non sopporto lo sguardo di commiserazione dei miei compagni ricchi e i loro scherzi. Sono stufo dei commenti e degli insulti.
Voglio scappare da quest'inferno. Ma non posso, per fuggire ci vogliono i soldi e io non li ho.
Invece che lavorare per pochi spiccioli come mi hanno chiesto i miei genitori preferisco rubare. E' sicuramente più pericoloso ma anche più remunerativo. Così riesco a comprare le medicine per mio fratello Jago che ha sempre la tosse e il cibo per Josy e Penny che sono talmente magre che gli si vede attraverso. Ovviamente qualcosa tengo per me. Ho un mio nascondiglio segreto in giardino e lì metto tutto ciò che riesco a risparmiare. Prima o poi riuscirò a fuggire da questa baracca al confine con il Messico, prima o poi riuscirò a volare lontano da questa vita schifosa.

E' Sabato pomeriggio e sta piovendo.
Che schifo di tempo!
Sono preoccupato se continua così non riuscirò a rapinare nessuno. E' raro che i ricchi vadano in giro sotto la pioggia e il terreno è scivoloso ed io non posso permettermi di sbagliare non voglio finire in carcere sotto le grinfie di qualche pedofilo.
Scruto attraverso la pioggia e prego la buona sorte che qualcuno esca.
Ecco forse finalmente la fortuna è girata. Una donna avvolta in un impermeabile nero è scesa da una macchina lussuosa.
Si è guardata intorno come se cercasse qualcuno poi si è allontanata di buon passo, veloce e determinata.
E' bella, il suo modo di camminare è sensuale. Forse un giorno avrò anch'io una donna così. Ma chi voglio prendere in giro... questi sono solo sogni come quello di scappare lontano.
Nascondo il mio turbamento, ricaccio indietro i miei pensieri. Devo stare attento, lucido non posso permettermi di sbagliare.
Mi avvicino... tiro fuori il coltello e afferrò la donna per un braccio sbattendola contro un muro.
Strano non ho mai sentito tanti muscoli in un braccio. E' quasi dura al contatto. Un brivido di freddo m'investe. Fisso i suoi occhi.
Dovrebbero essere spaventati, terrorizzati dallo spettacolo che ha di fronte, ma invece sono tranquilli, sicuri. Il loro colore viola mi affascina e mi stordisce.
Maledizione forse è un agente, forse è un tranello per incastrarmi.
Ma vado avanti.
Sento il mio cuore battere e il respiro farsi corto dall'adrenalina che ha iniziato a scorrere nel mio sangue. Vedo un sorriso aprirsi su quel viso angelico, ma non è un sorriso caldo affettuoso è un sorriso diabolico, un ghigno di soddisfazione.
La mia vittima tace. Non parla, non urla come farebbero tante. Non prega pietà.
Mi guarda e mi allunga la sua borsa.
Ha capito! Ha capito che sono un ladro, ha capito che ho paura e che potrei ucciderla per questo.
Le afferro la borsa, mi volto e scappo. Corro, aspettando le sue grida di aiuto. Non le sento. Non sento urla, mi volto ...lei è sparita.
Corro ancora lontano stringendo quella borsa nera, frutto del mio gesto.
Quando mi fermo sembra che il mio cuore stia scoppiando.
Mi siedo.
Apro la borsa. Non c'è nulla dentro solo una busta bianca e un portafoglio.
Apro la busta e un volantino mi scivola sulle mani “Benvenuti a Volterra”.
Lo guardo e per un attimo sogno. Sogno di raggiungere quel posto lontano. Di riniziare, di farmi una nuova vita.
Apro il portafoglio e mi cadono fra le mani molti dollari.
Li fisso a bocca aperta. Non ho mai visto tanti soldi così tutti insieme. E' quanto può guadagnare mio padre in cinque anni di vita.
Resto lì inebetito e poi decido.
Sfilo via alcuni biglietti e metto gli altri nella busta.
Poi mi avvio a casa. Josy è davanti alla porta che sta stendendo. Ha solo otto anni ma anche lei ne dimostra dieci di più. Le consegno la busta e con una lacrima le sussurro “Questa è per mamma e papà. Mi mancherete tutti. Vi voglio bene.”.
Lei mi guarda... non ha capito che è un addio.
Mi volto e mi allontano, recupero la mia scorta segreta di soldi e vado in un bar. Lì faccio la telefonata che cambierà per sempre la mia vita.
La voce che mi risponde è cristallina e squillante “Buongiorno in cosa posso esserle utile ? Il mio nome è Haidy”

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